Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 18 luglio 2024, n. 6459
La vicenda che ha portato alla decisione del Consiglio di Stato, come delineata nella sentenza, riguarda una complessa questione di annullamento in autotutela di un permesso di costruire, connessa alla legittimazione del richiedente in relazione alla titolarità dell’area oggetto dell’intervento edilizio. Il caso ha preso avvio quando il Comune di San Pancrazio Salentino, su segnalazione di un proprietario confinante, ha rilevato che una parte dell’immobile oggetto del permesso di costruire era edificata su una particella di proprietà di un terzo, il sig. Ri. Sa.
La procedura si è snodata con l’adozione, da parte del Comune, di un provvedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 50/2018, in seguito alle risultanze catastali che confermavano la proprietà del sig. Ri. sulla particella contestata. Tale annullamento è stato impugnato dai signori Gr., i quali hanno contestato, tra l’altro, l’interesse pubblico all’annullamento e la veridicità dei dati catastali. Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di Lecce, pur riconoscendo la proprietà della particella al sig. Ri., aveva accolto il ricorso, rilevando la carenza di una specifica valutazione dell’interesse pubblico concreto, attuale e comparato rispetto a quello privato.
L’Amministrazione comunale ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, contestando la sentenza del TAR e sostenendo, tra l’altro, che l’erroneità nella rappresentazione della titolarità del bene costituisse di per sé un valido motivo per l’annullamento del titolo edilizio, senza necessità di una comparazione tra interesse pubblico e privato. Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello del Comune, ribadendo che la mancanza di titolarità sull’immobile legittima l’annullamento in autotutela del permesso di costruire, in quanto l’interesse pubblico all’eliminazione di un titolo viziato in tale modo è “in re ipsa”, ossia implicito e non necessita di un’ulteriore valutazione comparativa.
La questione di diritto al centro di questa sentenza riguarda l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire rilasciato erroneamente, in quanto fondato su una dichiarazione di titolarità dell’immobile parzialmente errata. Si tratta di un tema complesso che coinvolge il bilanciamento tra interesse pubblico e privato, nonché l’applicazione del principio di autoresponsabilità nei rapporti con la pubblica amministrazione.
L’annullamento in autotutela e il presupposto dell’interesse pubblico
L’autotutela amministrativa, disciplinata in via generale dall’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990, consente all’amministrazione di ritirare provvedimenti illegittimi per ragioni di interesse pubblico, purché sussistano specifiche condizioni: il rispetto di un termine ragionevole e la valutazione di un interesse pubblico concreto e attuale, prevalente rispetto all’interesse privato al mantenimento del provvedimento. Questa norma, però, non può essere applicata in maniera meccanica o generalizzata, poiché il legislatore impone che ogni annullamento in autotutela sia preceduto da una ponderazione dell’interesse pubblico e privato, evitando che l’esercizio del potere di autotutela si traduca in un abuso di discrezionalità.
Nella fattispecie in esame, il TAR aveva accolto il ricorso dei signori Gr., annullando il provvedimento di autotutela del Comune proprio per la mancata valutazione dell’interesse pubblico specifico all’annullamento del permesso di costruire. Il giudice di primo grado ha posto l’accento sull’assenza di una valutazione comparativa, che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, è fondamentale per stabilire se l’interesse pubblico all’annullamento del titolo edilizio possa prevalere sull’interesse privato alla conservazione del provvedimento.
Tuttavia, il Consiglio di Stato ha rovesciato questa impostazione, partendo da un’interpretazione sostanziale del rapporto tra autotutela e falsità dei presupposti di fatto. In tale contesto, viene valorizzata la giurisprudenza secondo cui la rilevazione di un errore radicale, come quello relativo alla titolarità della proprietà, non necessita di una comparazione tra interessi pubblici e privati. Infatti, la titolarità dell’area è un presupposto essenziale per il rilascio del permesso di costruire, e la sua mancanza determina una causa di illegittimità insanabile del provvedimento. Di conseguenza, il permesso di costruire è viziato ab origine e l’amministrazione ha il dovere di intervenire per ristabilire la legittimità, poiché l’interesse pubblico all’annullamento del titolo è considerato “in re ipsa”, ossia implicito nella necessità di rimuovere un provvedimento illegittimo che incide sui diritti dominicali di terzi.
Il principio di autoresponsabilità
Un altro punto cardine della decisione è rappresentato dal principio di autoresponsabilità, che si impone nelle relazioni tra privati e pubblica amministrazione. Il richiedente del permesso di costruire ha l’obbligo di garantire la veridicità delle dichiarazioni e dei documenti presentati all’amministrazione, e non può invocare buona fede o ignoranza per giustificare la validità di un titolo ottenuto sulla base di informazioni errate o incomplete.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha sottolineato che i signori Gr., prima di avviare l’intervento edilizio, avrebbero dovuto accertare con precisione la titolarità dell’area su cui intendevano edificare. L’errore nella rappresentazione della titolarità, ancorché dovuto a difficoltà nell’individuazione dei confini della particella, non può essere invocato per legittimare un titolo che incide sui diritti di un terzo. Il principio di autoresponsabilità impone infatti che l’onere di verificare la piena disponibilità dell’area gravi interamente sul richiedente, il quale deve compiere ogni necessaria indagine catastale e giuridica prima di richiedere il permesso.
Questo aspetto è strettamente collegato alla protezione dei diritti di proprietà sanciti dall’art. 42 della Costituzione, che tutela la piena e libera disponibilità del diritto dominicale. Il Consiglio di Stato, quindi, ha ritenuto che non fosse necessario contemperare l’interesse pubblico con quello privato, in quanto il permesso di costruire era viziato da un errore tale da compromettere i diritti di terzi, e l’affidamento riposto dagli appellati non poteva prevalere su tale illegittimità originaria.
La tutela del terzo e il ruolo dell’amministrazione
Un ulteriore aspetto rilevante della vicenda è il ruolo che l’amministrazione comunale ha svolto nella tutela dei diritti del sig. Ri., proprietario della particella interessata. L’amministrazione ha agito su segnalazione del terzo confinante, esercitando il proprio potere di autotutela per garantire che l’edificazione non si estendesse su una proprietà altrui. Questo tipo di intervento risponde a un preciso obbligo dell’amministrazione, che deve tutelare non solo l’interesse pubblico generale, ma anche i diritti soggettivi dei cittadini, evitando che l’emanazione di atti amministrativi possa arrecare pregiudizio a soggetti terzi.
La decisione del Consiglio di Stato, in questo senso, rappresenta un’importante riaffermazione della funzione dell’autotutela amministrativa come strumento di garanzia della legittimità dell’azione amministrativa e della tutela dei diritti dei terzi, con un particolare riguardo per i diritti di proprietà.
Conclusioni
La sentenza in esame rappresenta un esempio significativo dell’uso del potere di autotutela da parte della pubblica amministrazione per correggere situazioni di illegittimità generate da errori sostanziali nei presupposti di fatto. Il Consiglio di Stato ha riaffermato un principio fondamentale del diritto amministrativo: la legittimità di un provvedimento edilizio deve fondarsi su una corretta rappresentazione della titolarità dei beni interessati, e il rispetto dei diritti di proprietà costituisce un valore preminente nel nostro ordinamento.
In questo contesto, il principio di autoresponsabilità gioca un ruolo cruciale, imponendo ai privati di compiere diligentemente tutte le verifiche necessarie prima di interagire con l’amministrazione. La buona fede o l’errore del richiedente non possono legittimare provvedimenti che, di fatto, violano diritti soggettivi altrui. In definitiva, l’interesse pubblico alla rimozione di atti viziati prevale, in casi del genere, sull’interesse privato alla conservazione del titolo edilizio, a meno che non vi sia un affidamento consolidato e giuridicamente tutelabile, cosa che nella fattispecie non è stata riscontrata.
Questa sentenza, pertanto, consolida l’orientamento secondo cui l’autotutela in materia edilizia può essere esercitata senza necessità di un’ulteriore ponderazione degli interessi quando vi è un errore fondamentale che incide sui presupposti legali del provvedimento, come nel caso della titolarità del bene.