Corte costituzionale, 19 aprile 2024, n. 65
La sentenza n. 65 del 2024 della Corte Costituzionale Italiana affronta un tema di rilevante importanza costituzionale: il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato in seguito alle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione su una controversia riguardante un appalto di servizi ICT bandito dalla Camera dei deputati.
Il nucleo della questione giuridica esaminata dalla Corte riguarda la competenza giurisdizionale sulle controversie relative agli appalti pubblici banditi dagli organi costituzionali, come la Camera dei deputati. In particolare, la Camera contestava l’attribuzione di giurisdizione al giudice amministrativo per una controversia riguardante l’esclusione di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) dalla procedura di gara, sostenendo che tale competenza sarebbe dovuta spettare esclusivamente a un organo di autodichia interno, in virtù di specifici regolamenti adottati per la gestione della propria amministrazione autonoma.
Prima di procedere oltre con l’analisi del tema trattato della sentenza, è bene riepilogare che l’autodichia del Parlamento rappresenta un principio giuridico peculiare nel contesto del diritto costituzionale italiano, riflettendo la capacità di autogoverno degli organi costituzionali, in particolare delle Camere parlamentari. Questa prerogativa è strettamente legata all’articolo 64 della Costituzione italiana, il quale stabilisce che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. L’ambito di applicazione e le implicazioni di tale autonomia regolamentare sono estremamente rilevanti sia per la comprensione del funzionamento interno del Parlamento sia per l’interazione tra i poteri dello Stato. L’autodichia trae origine dal bisogno di proteggere l’indipendenza del Parlamento dagli altri poteri dello Stato, in particolare dal potere giudiziario. Questo principio consente alle Camere di gestire le proprie questioni interne, disciplinando i propri affari senza ingerenze esterne. La ratio di tale autonomia è garantire che il Parlamento possa svolgere le sue funzioni legislative e di controllo in maniera indipendente e efficiente, preservando la separazione e l’equilibrio dei poteri. Tradizionalmente, l’autodichia copre aree quali l’organizzazione interna, la gestione del personale e l’amministrazione interna delle Camere. Include anche il potere di regolare la procedura legislativa interna e di stabilire norme relative al comportamento dei parlamentari. Un esempio concreto è il potere di ciascuna Camera di disciplinare l’ammissibilità delle proprie decisioni e di decidere in merito all’interpretazione dei propri regolamenti. Nonostante l’autodichia conferisca un ampio margine di autonomia, essa non è illimitata. I limiti derivano principalmente dalla necessità di rispettare la Costituzione e i principi generali del diritto. Inoltre, non può estendersi a materie che esulano dalle funzioni interne delle Camere, come evidenziato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha escluso l’applicabilità dell’autodichia per le controversie riguardanti appalti pubblici esterni. L’autodichia è stata oggetto di critica e dibattito, soprattutto quando si percepisce che possa portare a un’autoregolamentazione eccessiva o a decisioni che potrebbero entrare in conflitto con i diritti fondamentali o con il diritto dell’Unione Europea. Un punto critico è il bilanciamento tra l’autonomia del Parlamento e il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, garantito sia a livello nazionale che europeo. Nel tempo, sono state suggerite diverse riforme per migliorare la trasparenza e l’accountability nelle aree coperte dall’autodichia. Alcuni suggeriscono un maggiore controllo esterno o meccanismi di revisione interna più rigorosi, in modo che l’autogoverno parlamentare non si traduca in una mancanza di responsabilità o in inefficienze. In sintesi, l’autodichia del Parlamento svolge un ruolo cruciale nell’assicurare l’autonomia e l’indipendenza del legislatore, ma deve essere continuamente valutata alla luce dei cambiamenti normativi, costituzionali e sociali per assicurare che rimanga un principio equilibrato che sostenga la democrazia parlamentare senza compromettere i diritti fondamentali o il principio di legalità.
Tornando all’esame della sentenza, la Corte ha respinto il ricorso della Camera dei deputati, confermando la giurisdizione del giudice amministrativo su tali controversie. Questo risultato si fonda sulla distinzione tra le funzioni interne dell’organo costituzionale, che possono godere di un regime di autodichia, e le attività esterne come gli appalti, che coinvolgono terzi e che devono perciò rimanere sottoposte alla giurisdizione ordinaria per garantire il rispetto dei diritti di tutti gli operatori economici coinvolti.
L’analisi della Corte sottolinea l’importanza della giurisdizione amministrativa nel controllare le procedure di appalto pubblico, in quanto esse devono essere regolate da principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, conformemente sia alla normativa nazionale che a quella dell’Unione europea. La Corte rileva che estendere l’autodichia della Camera a coprire anche le controversie su appalti pubblici significherebbe sottrarre tali questioni al controllo giurisdizionale ordinario, con potenziali ripercussioni negative sulla tutela degli interessi legittimi dei partecipanti alla gara e sul principio di legalità.
Questa decisione rivela quindi una chiara presa di posizione della Corte Costituzionale a favore del mantenimento di un equilibrio tra l’autonomia degli organi costituzionali e la tutela giurisdizionale effettiva, sancendo che l’autonomia normativa degli organi costituzionali non può estendersi al punto di escludere la giurisdizione ordinaria da materie che coinvolgono diritti e interessi di terzi.
Il rigetto del ricorso, quindi, non solo afferma la prevalenza del diritto comune nell’ambito degli appalti pubblici ma riafferma anche il principio secondo il quale la separazione dei poteri e la tutela dei diritti fondamentali devono trovare un giusto bilanciamento, anche all’interno delle strutture organizzative degli stessi organi costituzionali.