La corretta modalità di qualificazione del terreno espropriato (edificabile o non) ai fini della quantificazione della indennità/risarcimento
Di particolare rilievo e delicatezza la problematica nelle procedure di esproprio (legittime od illegittime) inerente ai criteri per stabilire se il fondo oggetto della espropriazione possa essere considerato o meno edificabile ai sensi della normativa di settore, con ogni conseguenza in punto di quantificazione della relativa indennità/risarcimento di spettanza del proprietario.
In proposito, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che la natura del terreno oggetto di espropriazione non può che essere determinata secondo le potenzialità edificatorie dello stesso al di fuori e a prescindere della procedura espropriativa, poiché, altrimenti, se, a titolo esemplificativo, un terreno con destinazione agricola dovesse essere qualificato come terreno edificabile ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio per il solo fatto che sul medesimo terreno è stato posto vincolo espropriativo per la realizzazione di opera pubblica, allora sempre tutti i terreni dovrebbero essere qualificati ai fini indennitari come edificabili, perché il vincolo espropriativo è sempre posto allo scopo di costruirvi una opera pubblica.
Seguendo questa impostazione, pertanto, non vi sarebbe ragione di prevedere in astratto una differente trattamento indennitario a seconda della natura dei terreni (agricola o edificabile), in contrasto manifesto con le disposizioni legislative che, invece, prevedono questa differenziazione. La soluzione appena prospettata è stata adottata dalla Corte di Cassazione (per tutte si vedrà di seguito la sentenza della Cass. Civ., 8 febbraio 2008, n. 3022, in linea con le precedenti sentenze Cass. Civ. 25 giugno 2003, n. 10073 e da Cass. Civ., 1 agosto 2003, n. 11729 e particolarmente completa nella sua parte motivazionale sul punto), la quale è giunta alla conclusione sopra riportata secondo il seguente percorso motivazionale, di cui si riportano i passaggi logico-giuridici di maggiore rilievo:
- 1) innanzitutto, come già anticipato, la ragione primaria della tesi interpretativa prospettata è da rinvenirsi nel fatto che altrimenti verrebbe meno in astratto la ragione della divisione ai fini indennitari tra terreni edificabili e terreni agricoli, in palese contrasto con la normativa vigente sul punto;
- 2) la tesi della illegittima sentenza impugnata infatti “contrasta con il fondamentale principio che caratterizza il sistema indennitario, della summa divisio tra suoli edificabili e suoli non classificabili come edificabili, cui viene attribuito un sistema differenziato di determinazione delle indennità ablatorie”, in quanto altrimenti “non avrebbe ragion d’essere norme come l’art. 5-bis e come il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37 (che mantengono, come detto, la summa divisio pur dopo la dichiarazione d’incostituzionalità), perchè allora tutti i suoli sarebbero edificabili, anche quelli non solo convenzionalmente (per via di previsione urbanistica), ma anche naturalisticamente (i suoli agricoli), inedificabili: basta che ne sia previsto, in sede di piano o in sede di variante, l’utilizzo a fini pubblici”;
- 3) inoltre, è stato aggiunto un ulteriore argomento “a carattere normativo, di ripulsa della tesi che si censura, desumibile dall’impianto, tuttora vigente, della fondamentale legge sulle espropriazioni (L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 42 e 43 richiamati dalla stessa Corte Cost. n. 442 del 1993), per cui non deve tenersi conto in melius degli incrementi connessi all’esecuzione dell’opera di pubblica utilità o derivanti dalla previsione dell’esecuzione stessa”, situazione che accade più frequentemente proprio laddove siano adottati Piani di Edilizia Economico Popolare (“La coerenza con il sistema è stata però prontamente riaffermata, osservandosi che sul terreno in cui con maggiore frequenza il fenomeno trovava applicazione, quello degli interventi di edilizia economica e popolare, il piano di zona non può porsi, per definizione, in contraddizione con lo strumento generale: ed ove localizzi insediamenti residenziali in zona agricola, muta la propria natura da strumento attuativo a strumento generale di programmazione del territorio (da ultimo Cass. 21.3.2001, n. 125/SU)”).